Storia del Gran Priorato di Napoli e Sicilia
L’organizzazione del patrimonio fondiario giovannita ebbe modo di perfezionarsi gradatamente e di adattarsi alle necessità ed ai cambiamenti derivanti dalla sua continua espansione. La creazione di “province” da parte dell’Ordine fu, con tutta probabilità, una misura pratica, affinché l’amministrazione dei possedimenti non gravasse esclusivamente sul Maestro; soluzione utilizzata, peraltro, anche dai Templari. Tali province erano poste sotto il controllo di cavalieri, con il titolo di Priori.
Alla vigilia della Rivoluzione francese l’Ordine contava venticinque priorati: Saint Gilles; Alvernia; Francia; Aquitania; Champagne; Tolosa; Roma; Pisa; Lombardia; Venezia; Barletta; Messina; Capua; Castellania d’Amposta; Portogallo (Leòn) e Navarra, Inghilterra; Irlanda; Germania; Boemia; Catalogna; Ungheria; Dacia (Svezia, Norvegia e Danimarca); Baviera; Polonia; Russia.(1)
Gli straordinari eventi della fine del XVIII secolo, che dapprima travolsero i priorati di Francia e poi anche lo stesso Convento dell’Ordine a Malta, portarono alla soppressione di quasi tutti i priorati europei dell’Ordine.
Così i priorati di Capua e Barletta nel 1806 si videro confiscare dal Murat tutti i loro beni. Nel 1811, poi, Ferdinando di Borbone, rifugiato con la sua corte in Sicilia, ordinò il passaggio al fisco di tutte le proprietà degli Ordini religiosi, compresi quindi quelli appartenenti al priorato di Messina.
Se la sorte dei priorati di Capua e Barletta fu la conseguenza diretta e inevitabile dell’affermazione dei principi che erano stati alla base della Rivoluzione, “esportati” manu militari dall’esercito francese, la fine di quello di Messina può essere letta in chiave leggermente diversa. I Borbone avevano reali motivi per nutrire nei confronti dell’Ordine risentimento, attribuendo alla negligenza dei cavalieri giovanniti la perdita di Malta, che era incardinata alla loro corona. Motivo, questo, che andava ad aggiungersi a un giudizio comune che, a ragione, considerava i cavalieri come sudditi a ”mezzo servizio”: divisi, cioè, tra la lealtà al loro sovrano e quella al Gran Maestro.
Il lento, ma incessante lavoro diplomatico ¬svolto in particolare dal Balì Carlo Candida, Luogotenente del Gran Maestro ¬portò alla restaurazione dell’Ordine nel regno delle Due Sicilie nel 1839, lo stesso anno in cui esso fu riammesso nella Lombardia e nel Veneto asburgici.(2 )
Il decreto di ricostituzione dell’Ordine nei territori del regno prevedeva la creazione di un unico gran priorato, detto delle Due Sicilie e successivamente di Napoli e Sicilia al posto degli antichi tre precedenti.
Al momento della sua soppressione, l’Ordine possedeva, sotto la giurisdizione di Capua, Barletta e Messina, decine di commende, ma Ferdinando concesse la restituzione di solo otto commende: la Saracena¬Normanno di Sicilia; la Schettina ed Albignano di Sicilia; la Colli di Sicilia; la Vizzini di Sicilia; la San Giovanni di Taormina; la San Silvestro di Bagnara, la Caprara e Lamia di Benevento e la San Tommaso dell’Aquila.
In sostanza, l’Ordine subì la quasi totale perdita dei suoi beni nel priorato di Capua e la totale nel priorato di Barletta.
La sproporzione tra i beni espropriati e i beni restituiti non poté non creare malumori, ma « (…) la promessa del Re di destinare al costituito Priorato una Sede, una chiesa, esufficienti locali da destinare ad Ospedale, fece ben presto rasserenare gli animi deiCavalieri che puntarono sul costituendo Ospedale e Priorato tutte le loro speranze per il futuro.
Questo decreto dunque, al di là degli interessi colpiti e delle attese frustrate, rappresentò un punto sicuro di partenza e di sviluppo sul quale impostare un programma di lavoro.»(3)
Nel luglio del 1840 fu emanato il decreto che definiva il passaggio all’Ordine del convento dei santi Margherita e Bernardo, che è ancora oggi la sede del gran priorato, allora occupato dalla congregazione del Santissimo Sacramento alla Vita.(4 )
La costituzione del nuovo gran priorato delle Due Sicilie destò grande interesse nella nobiltà del Regno, che si manifestò con la fondazione di nuove commende di giuspatronato.
Il decreto di ripristino dell’Ordine prevedeva l’elargizione di 4.000 ducati per il restauro della chiesa e i lavori necessari per l’apertura dell’ospedale. Superate diverse difficoltà, la struttura fu inaugurata nel 1859 e durante la guerra civile che portò all’annessione del regno delle Due Sicilie a quello piemontese, coerentemente con le antiche tradizioni ospedaliere dell’Ordine, vi furono ricoverati sia i soldati borbonici sia i volontari garibaldini.
L’ospedale si dotò di uno “Statuto Organico” approvato con decreto del Sovrano Consiglio dell’Ordine il 28 febbraio 1873. Lo Statuto chiariva che l’ospedale aveva per scopo « (…) accogliere e curare gratuitamente infermi di malattie acute, tranne la follia ed i morbi reputati contagiosi» (art. 1). L’assistenza dei ricoverati era affidata ad un Cavaliere Professo, scelto a turno dal Gran Priore (art. 8), assistito da un medico direttore e da un altro medico e da un chirurgo (art. 11). Inoltre, erano addetti ad altri servizi «un infermiere, un guardaroba che farà d’assistente dell’Infermiere, un Cuoco, un Inserviente ed un Portiere””» (art. 11). Infine, il servizio religioso era affidato al Rettore dell’Ospedale e quello della Chiesa ad altro Ecclesiastico (art. 12).
L’ospedale cessò le sue attività quando, nel 1910, il Gran Priorato stipulò una speciale convenzione con l’amministrazione degli Ospedali Riuniti, con la quale fu istituita nell’ospedale degli Incurabili una sala chirurgica che prese il nome di “Sala Malta”.
Il Venerando Gran Priore balì fra’ Edoardo Salazar volle il restauro del monastero dei Santi Margherita e Bernardo, perché vi avessero sede gli uffici del priorato e della delegazione del Gran Magistero e vi fosse allestito un poliambulatorio, che fu inaugurato nel 1935.
Nel 1937, in collaborazione con il Reale Stabilimento di Santa Maria Vertecoeli, opera pia fondata nel 1647, il gran priorato fondò l’Istituto Ortofrenico per l’assistenza e la cura dei giovani con problemi psichici.(5) «La cura e l’educazione di questa categoria di malati ha una enorme importanza perché essa può riuscire a migliorarne le condizioni psichiche e restituirli utili alla società, mentre lasciati a sè andrebbero ad aumentare la non scarsa schiera degli ammalati di mente e dei delinquenti.»(6)
La costituzione di delegazioni del gran priorato in alcune delle più importanti città del Meridione ha reso possibile negli anni successivi al secondo dopoguerra sviluppare diverse e importanti attività di assistenza a favore dei più bisognosi e continuare la plurisecolare tradizione dell’Obsequium Pauperum.
Lorenzo Maria Guida
Cavaliere di Grazia e Devozione in Obbedienza
Note:
(1) In realtà, i Priorati d’Inghilterra e d’Irlanda esistevano solo sulla carta a seguito della confisca dei loro beni voluta da Enrico VIII all’indomani dello scisma anglicano e riconfermata da Elisabetta I. “Mutilati” risultavano essere anche i priorati di Germania e di Dacia a causa della Riforma protestante. Per un’analisi di tali eventi vedi LORENZO MARIA GUIDA, L’ordine di San Giovanni Gerusalemme: le sue commende e i suoi conventi, Melitensia 14, Centro Studi melitensi, Taranto 2007. 2 Sulla notevole e fondamentale opera politico¬diplomatica di fra’ Carlo Candida vedi MICHEL DE PIERREDON, Histoire politique de l'Ordre Souverain de Saint¬Jean de Jerusalem (Ordre de Malte) de 1789 a 1955, Parigi 1956¬1995. Per la storia post-rivoluzionaria dei priorati meridionali vedi pure ALFREDO D’AURIA, “L’Ordine di Malta nel Mezzogiorno d’Italia, 1734¬1913 ”, Centro Studi melitensi, Taranto 2002
(2) Sulla notevole e fondamentale opera politico-diplomatica di fra’ Carlo Candida vedi MICHEL DE PIERREDON, Histoire politique de l'Ordre Souverain de Saint-Jean de Jerusalem (Ordre de Malte) de 1789 a 1955, Parigi 1956-1995. Per la storia post-rivoluzionaria dei priorati meridionali vedi pure ALFREDO D’AURIA, “L’Ordine di Malta nel Mezzogiorno d’Italia, 1734-1913 ”, Centro Studi melitensi, Taranto 2002
(3) ALFREDO D’AURIA, op. cit., pag. 30.
(5) Sede dell’istituto era la villa di proprietà di Dorotea Walpole, il cui consorte, il balì Ernesto del Balzo, l’aveva donata al gran priorato di Napoli e Sicilia. 6 C. BAUDEL, La benefica attività del Gran Priorato di Napoli e Sicilia del Sovrano Militare Ordine di Malta”, in Rivista Internazionale, 1¬1938, pag. 8. Villa Walpole, dopo i lunghi anni durante i quali è stata data in uso ai padri domenicani, è stata restaurata e in parte affidata in gestione alla A.S.L. per essere utilizzata nell’assistenza ai malati di alzheimer.
(6) C. BAUDEL, La benefica attività del Gran Priorato di Napoli e Sicilia del Sovrano Militare Ordine di Malta”, in Rivista Internazionale, 1-1938, pag. 8. Villa Walpole, dopo i lunghi anni durante i quali è stata data in uso ai padri domenicani, è stata restaurata e in parte affidata in gestione alla A.S.L. per essere utilizzata nell’assistenza ai malati di alzheimer.