Papa Francesco ai Signori Ammalati
INCONTRO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
CON I PARTECIPANTI AL CONVEGNO PER PERSONE DISABILI,
PROMOSSO DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Aula Paolo VI - Sabato, 11 giugno 2016
Il Santo Padre risponde ad alcune domande.
La prima domanda era molto ricca, molto ricca. E parlava delle diversità. Tutti siamo diversi: non c’è uno che sia uguale all’altro. Ci sono alcune diversità più grandi o più piccole, ma tutti siamo diversi. E lei, la ragazza che ha fatto la domanda, diceva: “Tante volte abbiamo paura delle diversità”. Ci fanno paura. Perché? Perché andare incontro a una persona che ha una diversità non diciamo forte, ma grande, è una sfida, e ogni sfida ci fa paura. E’ più comodo non muoversi, è più comodo ignorare le diversità e dire: “Tutti siamo uguali, e se c’è qualcuno che non è tanto ‘uguale’, lasciamolo da parte, non andiamo incontro”. E’ la paura che ci fa ogni sfida; ogni sfida ci impaurisce, ci fa paura, ci rende un po’ timorosi. Ma no! Le diversità sono proprio la ricchezza, perché io ho una cosa, tu ne hai un’altra, e con queste due facciamo una cosa più bella, più grande. E così possiamo andare avanti. Pensiamo a un mondo dove tutti siano uguali: sarebbe un mondo noioso! E’ vero che alcune diversità sono dolorose, tutti lo sappiamo, quelle che hanno radici in alcune malattie… ma anche quelle diversità ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono. Per questo, non bisogna avere mai paura delle diversità: quella è proprio la strada per migliorare, per essere più belli e più ricchi.
E come si fa questo? Mettendo in comune quello che abbiamo. Mettere in comune. C’è un gesto bellissimo che noi persone umane abbiamo, un gesto che facciamo quasi senza pensarci, ma è un gesto molto profondo: stringere la mano. Quando io stringo la mano, metto in comune quello che ho con te – se è uno stringere la mano sincero –: ti do la mano, ti do ciò che è mio e tu mi dai ciò che è tuo. E questa è una cosa che fa bene a tutti. Andiamo avanti con le diversità, perché le diversità sono una sfida ma ci fanno crescere. E pensiamo che ogni volta che io stringo la mano a un altro, do qualcosa del mio e ricevo qualcosa di lui. Anche questo ci fa crescere. Questo è ciò che mi viene come risposta alla prima domanda.
Ho dimenticato qualcosa della prima domanda, ma la dirò adesso con questa che ha fatto Serena. Serena mi mette in difficoltà, perché se io dico quello che penso… Ha parlato poco, tre/quattro righe, ma le ha dette con forza! Serena ha parlato di una delle cose più brutte che ci sono fra noi: la discriminazione. E’ una cosa bruttissima! “Tu non sei come me, tu vai di là e io di qua”. “Ma, io vorrei fare la catechesi…” – “In questa parrocchia no. Questa parrocchia è per quelli che si assomigliano, non ci sono differenze…”. Questa parrocchia è buona o no? [Aula:Nooo!] Che cosa deve fare, il parroco?... Convertirsi? E’ vero che se tu vuoi fare la comunione, devi avere una preparazione; e se tu non capisci questa lingua, per esempio se sei sordo, devi avere la possibilità in quella parrocchia di prepararti con il linguaggio dei sordi. Ecco, questo è importante! Se sei diverso, anche tu hai la possibilità di essere il migliore, questo è vero. La diversità non dice che chi ha i cinque sensi che funzionano bene sia migliore di chi – per esempio – è sordomuto. No! Questo non è vero! Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana, e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti. Capito? Quando, tanti anni fa – cento anni fa, o di più – il Papa Pio X disse che si doveva dare la comunione ai bambini, tanti si sono scandalizzati. “Ma quel bambino non capisce, è diverso, non capisce bene…”. “Date la comunione ai bambini”, ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza, perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo. Quando ci sono diversità fra noi, si capisce in un altro modo. Anche a scuola, nel quartiere, ognuno ha la sua ricchezza, è diverso, è come se parlasse un’altra lingua. E’ diverso, perché si esprime in un modo diverso. E questo fatto è una ricchezza. Quello che ha detto Serena succede, tante volte; succede tante volte ed è una delle cose più brutte, più brutte delle nostre città, della nostra vita: la discriminazione. Con parole offensive, anche. Non si può essere discriminati.
Ognuno di noi ha un modo di conoscere le cose che è diverso: uno conosce in una maniera, uno conosce in un’altra, ma tutti possono conoscere Dio. [Una bambina si avvicina al Papa] Vieni, vieni… Questa è coraggiosa! Vieni… Questa non ha paura, questa rischia, sa che le diversità sono una ricchezza; rischia, e ci ha dato una lezione. Questa mai sarà discriminata, sa difendersi da sola! Ecco. Serena, non so se ho risposto alla tua domanda. Nella parrocchia, nella Messa, nei Sacramenti, tutti sono uguali, perché tutti hanno lo stesso Signore: Gesù, e la stessa mamma: la Madonna. Capito?
[Si avvicina un’altra bimba] Vieni, vieni… Un’altra coraggiosa.
Il padre che ha parlato prima ha fatto alcune domande che sono collegate a quello che ha detto Serena: come accogliere tutti. Ma se tu… – non dico a te, perché so che tu accogli tutti –; ma pensa a un sacerdote che non accoglie tutti: che consiglio darebbe il Papa? “Chiudi la porta della chiesa, per favore!”. O tutti, o nessuno. “Ma no – pensiamo a quel prete che si difende – ma no, Padre, no, non è così; io capisco tutti, ma non posso accogliere tutti perché non tutti sono capaci di capire…” – “Sei tu che non sei capace di capire!”. Quello che deve fare il prete, aiutato dai laici, dai catechisti, da tanta, tanta gente, è aiutare tutti a capire: a capire la fede, a capire l’amore, a capire come essere amici, a capire le differenze, a capire come le cose sono complementari, uno può dare una cosa e l’altro può darne un’altra. Questo è aiutare a capire. E tu hai usato due parole belle: accogliere e ascoltare. Accogliere, cioè ricevere tutti, tutti. E ascoltare tutti. Vi dico una cosa. Credo che oggi nella pastorale della Chiesa si fanno tante cose belle, tante cose buone: nella catechesi, nella liturgia, nella carità, con gli ammalati… tante cose buone. Ma c’è una cosa che si deve fare di più, anche i sacerdoti, anche i laici, ma soprattutto i sacerdoti devono fare di più: l’apostolato dell’orecchio: ascoltare! “Ma, Padre, è noioso ascoltare, perché sono sempre le stesse storie, le stesse cose…” – “Ma non sono le stesse persone, e il Signore è nel cuore di ognuna delle persone, e tu devi avere la pazienza di ascoltare”. Accogliere e ascoltare. Tutti. E credo che con questo ho risposto alle domande.
Io avevo preparato per voi un discorso, e il Prefetto [della Casa Pontificia] lo consegnerà perché sia conosciuto da tutti. Perché leggere un discorso è anche un po’ noioso… E c’è un momento, quando uno legge un discorso, in cui, con una certa furbizia, incominciano a guardare l’orologio, come per dire: “Ma quando finirà di parlare, questo?”. Perciò il discorso lo leggerete voi.
Vi ringrazio tanto per questo dialogo, per questa visita, per questa bellezza delle diversità che fanno comunità: l’una dà all’altra e viceversa, e tutte fanno l’unità della Chiesa. Grazie tante. E pregate per me.
[Si avvicina un bambino] Vieni, vieni anche tu…
Adesso, rimanete seduti tranquilli, e come buoni figli preghiamo la Mamma, la Madonna. Tutti insieme preghiamo la Madonna. Ave, Maria…
[Benedizione]
E per favore pregate per me. Grazie.
Discorso preparato dal Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
vi accolgo in occasione del 25° anniversario dell’istituzione del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio Catechistico Nazionale italiano. Una ricorrenza che stimola a rinnovare l’impegno affinché le persone disabili siano pienamente accolte nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Vi ringrazio per le domande che mi avete rivolto e che mostrano la vostra passione per questo ambito della pastorale. Esso richiede una duplice attenzione: la consapevolezza della educabilità alla fede della persona con disabilità, anche gravi e gravissime; e la volontà di considerarla come soggetto attivo nella comunità in cui vive.
Questi fratelli e sorelle – come dimostra anche questo Convegno – non sono soltanto in grado di vivere una genuina esperienza di incontro con Cristo, ma sono anche capaci di testimoniarla agli altri. Molto è stato fatto nella cura pastorale dei disabili; bisogna andare avanti, ad esempio riconoscendo meglio la loro capacità apostolica e missionaria, e prima ancora il valore della loro “presenza” come persone, come membra vive del Corpo ecclesiale. Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane.
Nella Chiesa, grazie a Dio, si registra una diffusa attenzione alla disabilità nelle sue forme fisica, mentale e sensoriale, e un atteggiamento di generale accoglienza. Tuttavia le nostre comunità fanno ancora fatica a praticare una vera inclusione, una partecipazione piena che diventi finalmente ordinaria, normale. E questo richiede non solo tecniche e programmi specifici, ma prima di tutto riconoscimento e accoglienza dei volti, tenace e paziente certezza che ogni persona è unica e irripetibile, e ogni volto escluso è un impoverimento della comunità.
Anche in questo campo è decisivo il coinvolgimento delle famiglie, che chiedono di essere non solo accolte, ma stimolate e incoraggiate. Le nostre comunità cristiane siano “case” in cui ogni sofferenza trovi com-passione, in cui ogni famiglia con il suo carico di dolore e fatica possa sentirsi capita e rispettata nella sua dignità. Come ho osservato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, «l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili» (n. 47).
Nel cammino di inclusione delle persone disabili occupa naturalmente un posto decisivo la loro ammissione ai Sacramenti. Se riconosciamo la peculiarità e la bellezza della loro esperienza di Cristo e della Chiesa, dobbiamo di conseguenza affermare con chiarezza che esse sono chiamate alla pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di gravi disfunzioni psichiche. È triste constatare che in alcuni casi rimangono dubbi, resistenze e perfino rifiuti. Spesso si giustifica il rifiuto dicendo: “tanto non capisce”, oppure: “non ne ha bisogno”. In realtà, con tale atteggiamento, si mostra di non aver compreso veramente il senso dei Sacramenti stessi, e di fatto si nega alle persone disabili l’esercizio della loro figliolanza divina e la piena partecipazione alla comunità ecclesiale.
Il Sacramento è un dono e la liturgia è vita: prima ancora di essere capita razionalmente, essa chiede di essere vissuta nella specificità dell’esperienza personale ed ecclesiale. In tal senso, la comunità cristiana è chiamata ad operare affinché ogni battezzato possa fare esperienza di Cristo nei Sacramenti. Pertanto, sia viva preoccupazione della comunità fare in modo che le persone disabili possano sperimentare che Dio è nostro Padre e ci ama, che predilige i poveri e i piccoli attraverso i semplici e quotidiani gesti d’amore di cui sono destinatari. Come afferma il Direttorio Generale per la Catechesi: «L’amore del Padre verso questi figli più deboli e la continua presenza di Gesù con il suo Spirito danno fiducia che ogni persona, per quanto limitata, è capace di crescere in santità» (n. 189).
È importante fare attenzione anche alla collocazione e al coinvolgimento delle persone disabili nelle assemblee liturgiche: stare nell’assemblea e dare il proprio apporto all’azione liturgica con il canto e con gesti significativi, contribuisce a sostenere il senso di appartenenza di ciascuno. Si tratta di far crescere una mentalità e uno stile che metta al riparo da pregiudizi, esclusioni ed emarginazioni, favorendo una effettiva fraternità nel rispetto della diversità apprezzata come valore.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto avete fatto in questi venticinque anni di lavoro al servizio di comunità sempre più accoglienti e attente agli ultimi. Andate avanti con perseveranza e con l’aiuto di Maria Santissima nostra Madre. Io prego per voi e vi benedico di cuore; e anche voi, per favore, pregate per me.
CON I PARTECIPANTI AL CONVEGNO PER PERSONE DISABILI,
PROMOSSO DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Aula Paolo VI - Sabato, 11 giugno 2016
Il Santo Padre risponde ad alcune domande.
La prima domanda era molto ricca, molto ricca. E parlava delle diversità. Tutti siamo diversi: non c’è uno che sia uguale all’altro. Ci sono alcune diversità più grandi o più piccole, ma tutti siamo diversi. E lei, la ragazza che ha fatto la domanda, diceva: “Tante volte abbiamo paura delle diversità”. Ci fanno paura. Perché? Perché andare incontro a una persona che ha una diversità non diciamo forte, ma grande, è una sfida, e ogni sfida ci fa paura. E’ più comodo non muoversi, è più comodo ignorare le diversità e dire: “Tutti siamo uguali, e se c’è qualcuno che non è tanto ‘uguale’, lasciamolo da parte, non andiamo incontro”. E’ la paura che ci fa ogni sfida; ogni sfida ci impaurisce, ci fa paura, ci rende un po’ timorosi. Ma no! Le diversità sono proprio la ricchezza, perché io ho una cosa, tu ne hai un’altra, e con queste due facciamo una cosa più bella, più grande. E così possiamo andare avanti. Pensiamo a un mondo dove tutti siano uguali: sarebbe un mondo noioso! E’ vero che alcune diversità sono dolorose, tutti lo sappiamo, quelle che hanno radici in alcune malattie… ma anche quelle diversità ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono. Per questo, non bisogna avere mai paura delle diversità: quella è proprio la strada per migliorare, per essere più belli e più ricchi.
E come si fa questo? Mettendo in comune quello che abbiamo. Mettere in comune. C’è un gesto bellissimo che noi persone umane abbiamo, un gesto che facciamo quasi senza pensarci, ma è un gesto molto profondo: stringere la mano. Quando io stringo la mano, metto in comune quello che ho con te – se è uno stringere la mano sincero –: ti do la mano, ti do ciò che è mio e tu mi dai ciò che è tuo. E questa è una cosa che fa bene a tutti. Andiamo avanti con le diversità, perché le diversità sono una sfida ma ci fanno crescere. E pensiamo che ogni volta che io stringo la mano a un altro, do qualcosa del mio e ricevo qualcosa di lui. Anche questo ci fa crescere. Questo è ciò che mi viene come risposta alla prima domanda.
Ho dimenticato qualcosa della prima domanda, ma la dirò adesso con questa che ha fatto Serena. Serena mi mette in difficoltà, perché se io dico quello che penso… Ha parlato poco, tre/quattro righe, ma le ha dette con forza! Serena ha parlato di una delle cose più brutte che ci sono fra noi: la discriminazione. E’ una cosa bruttissima! “Tu non sei come me, tu vai di là e io di qua”. “Ma, io vorrei fare la catechesi…” – “In questa parrocchia no. Questa parrocchia è per quelli che si assomigliano, non ci sono differenze…”. Questa parrocchia è buona o no? [Aula:Nooo!] Che cosa deve fare, il parroco?... Convertirsi? E’ vero che se tu vuoi fare la comunione, devi avere una preparazione; e se tu non capisci questa lingua, per esempio se sei sordo, devi avere la possibilità in quella parrocchia di prepararti con il linguaggio dei sordi. Ecco, questo è importante! Se sei diverso, anche tu hai la possibilità di essere il migliore, questo è vero. La diversità non dice che chi ha i cinque sensi che funzionano bene sia migliore di chi – per esempio – è sordomuto. No! Questo non è vero! Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, di andare avanti, di amare il Signore, di fare cose buone, di capire la dottrina cristiana, e tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti. Capito? Quando, tanti anni fa – cento anni fa, o di più – il Papa Pio X disse che si doveva dare la comunione ai bambini, tanti si sono scandalizzati. “Ma quel bambino non capisce, è diverso, non capisce bene…”. “Date la comunione ai bambini”, ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza, perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo. Quando ci sono diversità fra noi, si capisce in un altro modo. Anche a scuola, nel quartiere, ognuno ha la sua ricchezza, è diverso, è come se parlasse un’altra lingua. E’ diverso, perché si esprime in un modo diverso. E questo fatto è una ricchezza. Quello che ha detto Serena succede, tante volte; succede tante volte ed è una delle cose più brutte, più brutte delle nostre città, della nostra vita: la discriminazione. Con parole offensive, anche. Non si può essere discriminati.
Ognuno di noi ha un modo di conoscere le cose che è diverso: uno conosce in una maniera, uno conosce in un’altra, ma tutti possono conoscere Dio. [Una bambina si avvicina al Papa] Vieni, vieni… Questa è coraggiosa! Vieni… Questa non ha paura, questa rischia, sa che le diversità sono una ricchezza; rischia, e ci ha dato una lezione. Questa mai sarà discriminata, sa difendersi da sola! Ecco. Serena, non so se ho risposto alla tua domanda. Nella parrocchia, nella Messa, nei Sacramenti, tutti sono uguali, perché tutti hanno lo stesso Signore: Gesù, e la stessa mamma: la Madonna. Capito?
[Si avvicina un’altra bimba] Vieni, vieni… Un’altra coraggiosa.
Il padre che ha parlato prima ha fatto alcune domande che sono collegate a quello che ha detto Serena: come accogliere tutti. Ma se tu… – non dico a te, perché so che tu accogli tutti –; ma pensa a un sacerdote che non accoglie tutti: che consiglio darebbe il Papa? “Chiudi la porta della chiesa, per favore!”. O tutti, o nessuno. “Ma no – pensiamo a quel prete che si difende – ma no, Padre, no, non è così; io capisco tutti, ma non posso accogliere tutti perché non tutti sono capaci di capire…” – “Sei tu che non sei capace di capire!”. Quello che deve fare il prete, aiutato dai laici, dai catechisti, da tanta, tanta gente, è aiutare tutti a capire: a capire la fede, a capire l’amore, a capire come essere amici, a capire le differenze, a capire come le cose sono complementari, uno può dare una cosa e l’altro può darne un’altra. Questo è aiutare a capire. E tu hai usato due parole belle: accogliere e ascoltare. Accogliere, cioè ricevere tutti, tutti. E ascoltare tutti. Vi dico una cosa. Credo che oggi nella pastorale della Chiesa si fanno tante cose belle, tante cose buone: nella catechesi, nella liturgia, nella carità, con gli ammalati… tante cose buone. Ma c’è una cosa che si deve fare di più, anche i sacerdoti, anche i laici, ma soprattutto i sacerdoti devono fare di più: l’apostolato dell’orecchio: ascoltare! “Ma, Padre, è noioso ascoltare, perché sono sempre le stesse storie, le stesse cose…” – “Ma non sono le stesse persone, e il Signore è nel cuore di ognuna delle persone, e tu devi avere la pazienza di ascoltare”. Accogliere e ascoltare. Tutti. E credo che con questo ho risposto alle domande.
Io avevo preparato per voi un discorso, e il Prefetto [della Casa Pontificia] lo consegnerà perché sia conosciuto da tutti. Perché leggere un discorso è anche un po’ noioso… E c’è un momento, quando uno legge un discorso, in cui, con una certa furbizia, incominciano a guardare l’orologio, come per dire: “Ma quando finirà di parlare, questo?”. Perciò il discorso lo leggerete voi.
Vi ringrazio tanto per questo dialogo, per questa visita, per questa bellezza delle diversità che fanno comunità: l’una dà all’altra e viceversa, e tutte fanno l’unità della Chiesa. Grazie tante. E pregate per me.
[Si avvicina un bambino] Vieni, vieni anche tu…
Adesso, rimanete seduti tranquilli, e come buoni figli preghiamo la Mamma, la Madonna. Tutti insieme preghiamo la Madonna. Ave, Maria…
[Benedizione]
E per favore pregate per me. Grazie.
Discorso preparato dal Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
vi accolgo in occasione del 25° anniversario dell’istituzione del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio Catechistico Nazionale italiano. Una ricorrenza che stimola a rinnovare l’impegno affinché le persone disabili siano pienamente accolte nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Vi ringrazio per le domande che mi avete rivolto e che mostrano la vostra passione per questo ambito della pastorale. Esso richiede una duplice attenzione: la consapevolezza della educabilità alla fede della persona con disabilità, anche gravi e gravissime; e la volontà di considerarla come soggetto attivo nella comunità in cui vive.
Questi fratelli e sorelle – come dimostra anche questo Convegno – non sono soltanto in grado di vivere una genuina esperienza di incontro con Cristo, ma sono anche capaci di testimoniarla agli altri. Molto è stato fatto nella cura pastorale dei disabili; bisogna andare avanti, ad esempio riconoscendo meglio la loro capacità apostolica e missionaria, e prima ancora il valore della loro “presenza” come persone, come membra vive del Corpo ecclesiale. Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane.
Nella Chiesa, grazie a Dio, si registra una diffusa attenzione alla disabilità nelle sue forme fisica, mentale e sensoriale, e un atteggiamento di generale accoglienza. Tuttavia le nostre comunità fanno ancora fatica a praticare una vera inclusione, una partecipazione piena che diventi finalmente ordinaria, normale. E questo richiede non solo tecniche e programmi specifici, ma prima di tutto riconoscimento e accoglienza dei volti, tenace e paziente certezza che ogni persona è unica e irripetibile, e ogni volto escluso è un impoverimento della comunità.
Anche in questo campo è decisivo il coinvolgimento delle famiglie, che chiedono di essere non solo accolte, ma stimolate e incoraggiate. Le nostre comunità cristiane siano “case” in cui ogni sofferenza trovi com-passione, in cui ogni famiglia con il suo carico di dolore e fatica possa sentirsi capita e rispettata nella sua dignità. Come ho osservato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, «l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili» (n. 47).
Nel cammino di inclusione delle persone disabili occupa naturalmente un posto decisivo la loro ammissione ai Sacramenti. Se riconosciamo la peculiarità e la bellezza della loro esperienza di Cristo e della Chiesa, dobbiamo di conseguenza affermare con chiarezza che esse sono chiamate alla pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di gravi disfunzioni psichiche. È triste constatare che in alcuni casi rimangono dubbi, resistenze e perfino rifiuti. Spesso si giustifica il rifiuto dicendo: “tanto non capisce”, oppure: “non ne ha bisogno”. In realtà, con tale atteggiamento, si mostra di non aver compreso veramente il senso dei Sacramenti stessi, e di fatto si nega alle persone disabili l’esercizio della loro figliolanza divina e la piena partecipazione alla comunità ecclesiale.
Il Sacramento è un dono e la liturgia è vita: prima ancora di essere capita razionalmente, essa chiede di essere vissuta nella specificità dell’esperienza personale ed ecclesiale. In tal senso, la comunità cristiana è chiamata ad operare affinché ogni battezzato possa fare esperienza di Cristo nei Sacramenti. Pertanto, sia viva preoccupazione della comunità fare in modo che le persone disabili possano sperimentare che Dio è nostro Padre e ci ama, che predilige i poveri e i piccoli attraverso i semplici e quotidiani gesti d’amore di cui sono destinatari. Come afferma il Direttorio Generale per la Catechesi: «L’amore del Padre verso questi figli più deboli e la continua presenza di Gesù con il suo Spirito danno fiducia che ogni persona, per quanto limitata, è capace di crescere in santità» (n. 189).
È importante fare attenzione anche alla collocazione e al coinvolgimento delle persone disabili nelle assemblee liturgiche: stare nell’assemblea e dare il proprio apporto all’azione liturgica con il canto e con gesti significativi, contribuisce a sostenere il senso di appartenenza di ciascuno. Si tratta di far crescere una mentalità e uno stile che metta al riparo da pregiudizi, esclusioni ed emarginazioni, favorendo una effettiva fraternità nel rispetto della diversità apprezzata come valore.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto avete fatto in questi venticinque anni di lavoro al servizio di comunità sempre più accoglienti e attente agli ultimi. Andate avanti con perseveranza e con l’aiuto di Maria Santissima nostra Madre. Io prego per voi e vi benedico di cuore; e anche voi, per favore, pregate per me.