Lettera di fra' Giovanni Scarabelli per la Settimana Santa e la Santa Pasqua
Carissimi e carissime,
La grazia del Signore e la sapienza della Chiesa ci conducono nella Settimana Santa a vivere sacramentalmente gli eventi fondamentali della nostra fede, aventi come centro l’istituzione del sacerdozio e l’Eucarestia, la Passione e Morte di Gesù, Figlio di Dio, la sua gloriosa Resurrezione. In questi misteri si radica la spiritualità giovannita, come tutta la spiritualità cristiana.
Il nostro Ordine, infatti, si esprime nell’obsequium Pauperum et tuitio Fidei, cioè nel suo binomico carisma, ma si caratterizza fondamentalmente perché “segnato dalla Croce”: i Fratres sono cruce signati. Nel famoso Capitolo generale del 1153 la disposizione è che bisogna portare come segno distintivo, sull’abito molto modesto di stoffa comune, l’insegna della Croce, e viene scelta quella che poi sarà iconizzata con le otto punte dove il centro è la carità di Cristo (Caritas Christi urget nos) che si irradia in questi raggi che sono le otto opere di misericordia corporale e spirituale e attingono ispirazione dalle otto beatitudini.
A proposito di queste, si segnalano i numeri che vanno dal 65 al 94 dell’esortazione apostolica di Papa Francesco Gaudete et Exultate che costituiscono un commento proprio delle beatitudini, presentate come concretezza della santificazione della vita cristiana. Scrive il Santo Padre al n. 92: “La croce, soprattutto le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell'amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione. Ricordiamo che quando il Nuovo Testamento parla delle sofferenze che bisogna sopportare per il Vangelo, si riferisce precisamente alle persecuzioni (cfr Atti 5, 41; Fil 1, 29; Col 1, 24; 2 Tim 1, 12: 1 Pt 2, 20; 4, 4-16; Ap 2, 10)”.
La Croce è diventata sì un simbolo, ma in gran parte ha perso il significato del radicale valore simboleggiato. La troviamo presente da tutte le parti più come fatto culturale che non come fatto religioso, spirituale, sostanziale, quando non sia un semplice ornamento estetico. Si può cadere nel pericolo di un neo-umanesimo che non attinge al fondamento della dignità della persona, che è l’essere a immagine di Dio, ma che dimenticando questo riduce ancora una volta l’uomo all’artifex sui, che è l’affermazione dell’autonomia totale, chiudendolo in una sfera di esaltazione di sé stesso che significa morte dell’uomo e della sua dignità perché sganciato dalla sua origine che è Dio.
Si è passati dalla carità alla solidarietà o, peggio, alla filantropia. Quando nel nostro Ordine si parla di solidarietà si tradisce l’Ordine perché l’Ordine è carità, non è semplice solidarietà e non è nuda filantropia (pur con tutto il rispetto alle persone che praticano queste ultime due). Non è indifferente parlare di carità, di solidarietà e di filantropia e l’Ordine – ecco tuitio Fidei – deve avere, per fedeltà al suo carisma, il coraggio a livello internazionale di dire “noi siamo uomini di carità” non semplicemente solidali, anche se ci sono aspetti di solidarietà nella carità e anche di filantropia, ma la carità non è riducibile alla solidarietà e alla filantropia. La Croce è la nostra carità perché la Croce è la massima manifestazione della carità: Dio ci ama fino alla follia della Croce. Noi assumiamo la Croce per amare come ci ama Dio: ecco l’obsequium Pauperum.
L’augurio di ogni bene dalla grazia del Signore ed un saluto confraterno a tutti nel fulgore della Pasqua del Signore Gesù,
+fra’ Giovanni Scarabelli