Gran Priorato di Roma
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Omelia di S.E. Rev.ma il Prelato dell'Ordine per le investiture del Gran Priorato di Roma

Durante la cerimonia delle investiture dei nuovi membri del Gran Priorato di Roma, S.E. Reverendissima mons. Jean Lafitte, Prelato dell'Ordine di Malta, ha rivolto ai presenti le seguenti parole:

"Eccellenza, Luogotenente di Gran Maestro Fra’ Giacomo Dalla Torre,
Eccellenza, Procuratore del Gran Priorato di Roma, Amedeo de Franchis,
Eccellenza, Presidente dell’ACISMOM, Riccardo Paternò,

Cari Confratelli,
Cari amici,
La celebrazione delle investiture nella nostra famiglia melitense è sempre un’occasione di gioia, perché l’entrata formale nell’Ordine ha il senso per tutti noi di un arricchimento. Stiamo per ricevere nuovi membri che portano con sé la loro esperienza personale, il loro desiderio di servire i più bisognosi nelle varie opere dell’Ordine, la loro disponibilità per iniziare un cammino, sul quale è necessario soffermarci. Le prime domande che sorgono sono queste: perché un tale impegno oggi? Perché proprio nel Sovrano militare Ordine di Malta? Le due domande sono inseparabili. Infatti sarebbe possibile aiutare i malati e i poveri in qualsiasi altra organizzazione che offre l’opportunità di essere utili in questo campo. Tuttavia, entrare nell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme ha un altro significato: è un impegno spirituale. Questo significa che è necessariamente la risposta ad una chiamata di Dio. Quando Dio chiama, è in vista di un cammino di fede e di carità; in altre parole, si tratta di una chiamata a santificarsi, a crescere nell’amicizia con il Signore Gesù. Guai a chi seguirebbe altri scopi che quello di servire il Signore nella persona di chi soffre e necessita il nostro aiuto. Divenire membri dell’Ordine di Malta è certamente essere introdotti in un mondo ricco di tradizioni e di storia, strutturato gerarchicamente in un insieme complesso di varie vocazioni specifiche. L’Ordine è fiero delle sue origini ed è normale sentirsi onorati di farne parte. Tuttavia, non ci sono onori che non debbano essere prima orientati verso la gloria di Dio. Il modo più sicuro di diventare degni di questo onore è l’umiltà, che consiste, da parte delle creature che siamo, nel restituire a Dio Creatore il diritto che Gli è dovuto, secondo le parole di Sant’Agostino. L’umiltà genera il servizio autentico che è l’espressione della carità, sulla quale il Signore giudicherà il mondo.



Oggi, cari confratelli, i testi offerti dalla Liturgia di questa Domenica ci insegnano che cosa significhi un’amicizia con Dio. Nella Prima Lettura si fa conoscere solo dalla Sua voce, chiamando tre volte il giovane Samuele. Tre volte il ragazzo si alza, e corre dal sacerdote Eli. Manifesta già nella sua fretta e nella sua pazienza il proprio zelo. Si rende immediatamente disponibile. Osserva strettamente le istruzioni di Eli: Se ti chiamerà, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta. Così comincia l’intimità tra Dio e il giovane. Il testo dice, con sobrietà: il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. Si apre lo straordinario servizio di giudice e di profeta di colui il cui nome significa, in ebraico, il suo nome è Dio. Fu Samuele a scegliere Saul come primo Re d’Israele, e il suo successore, il grande Re Davide.

Nel Vangelo, è la voce di Giovanni il Battista che spinge i due primi discepoli a seguire Gesù: Ecco l’agnello di Dio. Alla differenza di tutti gli altri profeti, il Battista non ha solo annunciato la venuta del Messia, lo ha designato. Certamente i discepoli di Giovanni sono stati ispirati da Dio, a seguire Gesù solo sulla base di queste misteriose parole: Ecco l’agnello di Dio. Gesù li mette alla prova ponendo loro la vera domanda: Che cosa cercate? È la domanda, cari amici, che Gesù sta ponendo a ciascuno di voi nel momento in cui state per entrare nell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. La risposta può essere data al Maestro solo nel profondo del cuore. Maestro, dove dimori? I due discepoli vogliono essere con Gesù, dimorare con lui. Atteggiamento enigmatico: lasciano il loro maestro Giovanni il Battista e seguono uno sconosciuto. Uno dei due è Andrea, l’altro si suppone che sia Giovanni. Ecco che Andrea va dal fratello Simon Pietro e gli annuncia: Abbiamo trovato il Messia! La frase è straordinaria perché è la prima volta che Gesù è identificato come il Messia. Questa esclamazione di Andrea dimostra che lui, come i suoi compagni, erano nell’attesa del Messia. In altre parole, anche se avevano una professione particolare, quella di pescatori, il loro cuore era concentrato sull’essenziale: l’attesa del Messia promesso da Dio. Erano uomini semplici ma profondamente religiosi. Andrea ebbe la funzione provvidenziale di portare il fratello Simon Pietro a Gesù. L’Evangelista precisa che Gesù fissò lo sguardo su di lui prima di annunciare la sua missione futura in termini misteriosi: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa, che significa Pietro. Questi primi discepoli dimorarono con Gesù ed iniziarono a condividere la Sua vita pubblica. Ebbero il desiderio di dimorare con Gesù e sacrificarono tutto per questo sublime privilegio. La loro vita comincia a trasformarsi e il loro cuore lentamente diventerà un cuore d’Apostolo. Impariamo da questo racconto che la Chiesa ebbe come primo inizio questa vita comune dei discepoli con il Signore.

Come sappiamo, l’Evangelista Giovanni usa spesso questa parola, “dimorare”. Nel Vangelo di oggi si tratta di “dimorare con Gesù”. Più avanti nel Quarto Vangelo, Gesù rivela ai Suoi amici un senso più profondo: Egli dimora nel Padre e il Padre dimora in Lui. Sta facendo una prima rivelazione della natura trinitaria dell’amore divino; ovviamente gli Apostoli non possono capire il senso di questa comunione tra il Padre e il Figlio: il mistero si svelerà dopo la Risurrezione di Gesù e l’effusione dello Spirito Santo. Tutti i battezzati verranno poi introdotti in questo amore divino: Gesù li inviterà a dimorare in Lui e quindi nel Padre celeste. Il discepolo che dimora nell’amore di Gesù riceve in se stesso l’amore del Padre e del Figlio: i due vengono a dimorare in lui. Così saranno rivelate le profondità del mistero della vita cristiana. A questo mistero siamo tutti invitati a partecipare. Ecco l’importanza della risposta che diamo alla domanda che Gesù ci fa: Cosa cercate?

Colui che ha veramente ascoltato la domanda, e ne ha dato la risposta per tutta la sua vita, non appartiene più a se stesso, come lo insegna San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. È il bene di Dio, appartiene a Lui; il suo corpo è la dimora dello Spirito Santo. Chi si unisce al Signore forma con Lui un solo spirito. In tutto ciò che fa, glorifica il Signore. AMEN"